Si può dire che la storia dell’uomo è intrecciata da millenni con quella del castagno. Basti pensare che già 10.000 anni fa, in Giappone, i popoli della cultura Jomon coltivavano castagni per i loro frutti e per costruirsi le loro dimore con i tronchi.
I romani diffusero la coltivazione di questa pianta usata, sia per i frutti sia per i pali ricavati dal tronco delle piante più giovani che venivano usati per gli impianti in viticultura.
Questo uso si è tramandato sino a pochi anni fa quando con l’avvento del cemento e della plastica i pali di castagno sono stati sostituiti dai nuovi materiali Mi ricordo mio padre che preparava tutti gli anni i pali da vendere ai viticoltori
Tutto ciò per dire che il castagno è stato sin a pochi anni fa fonte di sostentamento per le popolazioni che abitavano il nostro Appennino La sopravvivenza di intere comunità è dipesa soprattutto nei periodi invernali dalle castagne. Il poeta Attilio Bertolucci infatti le definisce “frutto paziente” poiché nelle nostre valli maturano tardissimo e le farine arrivano alla produzione solo pochi giorni prima di Natale. Ciò per secoli ha significato non costringere alla transumanza intere comunità. Continua il poeta: “ ……e infine quelle dolci castagne che per mille anni nutrirono la gente in questa valle solitaria. Frutto completo, matura con lenta pazienza tutto chiuso nel suo riccio ai soli agostani e settembrini temprati dalle fresche arie correnti, si coglie nella pioggia fina, grigio sipario che aprirà l’inverno.”
Matilde di Canossa fu tra quelli che credettero nella potenzialità di questa pianta Ella fu tra i primi a dettare le regole per la castanicoltura. Sono trascorsi secoli e ancora si possono ammirare castagni imponenti messi a dimora durante il suo regno.
Il “sesto Matildico” viene ancora usato come misura per la messa a dimora delle piante.
Oggi dopo un periodo di abbandono sta nascendo un nuovo interesse verso i castagneti, il loro paesaggio ed i loro frutti. La farina di castagne della nostra montagna è un prodotto di altissima qualità e pregio, soprattutto se prodotta secondo le antiche tradizioni. Possiamo dire che i nostri castagneti non sono solo frutteti ma ecosistemi naturali ricchi di biodiversità.
Quindi per le nostre montagne la riaccensione degli essiccatoi, la trebbiatura, e la produzione della farina possono rappresentare un ritrovato senso di comunità ed un valore aggiunto alla nostra economia.
Ma la filiera non si deve interrompere qui : c’è ora da scoprire le loro vecchie ricette e farle nostre creare e preparare piatti prelibati con i frutti di quello che si può definire il nostro “Albero del Pane”.
Maria Fraulini Brugioni ci tramanda una breve filastrocca:
“LE CASTAGGNE”
“El castaggno” era chiamato anche “l’albero del pàan”
E i nostri nonni ci raccontano i Santi delle castagneSan Giovanni el guarda i fiori di castaggni
San Simòon dalla pertega al baston, el ie mette nel saccòon, e poo,
gnude senza el riccio, el ie secca nel caniccio.San Martin el ie bàggna con del vìin, e po i cantamma tutti insèmme,
viva viva le castèggne, che i fàan belle le vegghiade coi balotti e le
frusjade.San Nicola l’è la fìin, dai metati nel mòlìin.
San Silvestro el primmo d’anno, menni e ciacci tutto l’anno.
I montanari che fàrenni senza i ciacci e senza i menni?